Un decalogo per C.T.U. (Consulente Tecnico d'Ufficio)

1) Il Ctu non è il giudice.
Per quanto possa parere ovvio, è da questo principio basilare che si deve partire. Il Ctu non è colui che giudica in ultima analisi, ma è l’ausiliario del giudice, che deve portare a quest’ultimo ausilio nell’accertamento dei fatti per i quali occorre una conoscenza specifica che il giudice non ha.
Da questo principio derivano conseguenze rilevanti. Il Ctu deve innanzitutto fare quello che il giudice gli chiede (rispondere al quesito). Se più ipotesi plausibili gli si prospettano dinanzi, deve nei limiti del possibile svilupparle tutte, certamente libero di esprimere il suo personale avviso a favore dell’una o dell’altra, ma sempre ricordando che chi deve prendere la decisione finale non è lui ma il giudice, e che il suo lavoro ha come scopo non quello di decidere, ma quello di mettere un altro nelle condizioni di decidere a ragion veduta.
2) La consulenza è un giudizio.
Il principio sembra contraddire subito il primo che abbiamo affermato. Se il Ctu non può giudicare, come può la consulenza consistere in un giudizio? In realtà, la consulenza è la integrazione tecnica di un giudizio; o più chiaramente, secondo una celebre definizione del Franchi, “la dichiarazione disinteressata di un soggetto diverso dal giudice, con la quale si pone quest’ultimo in grado di valutare gli elementi di giudizio raccolti per la decisione”.
La consulenza è un mezzo particolare, che tiene un po’ del giudizio (ma dimezzato, perché il Ctu non ha il potere di giudicare) e un po’ della testimonianza (ma il Ctu non è testimone, almeno secondo il nostro ordinamento, nel quale è principio basilare che il testimone possa riferire fatti, ma non esprimere opinioni).

3) La consulenza non è un mezzo di prova.

Uno dei principi cardine dell’ordinamento è contenuto nell’art. 2697 del codice civile, che dice: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Si tratta, in due parole, del principio dell’onere della prova. Se io faccio causa ad un altro, e non fornisco la prova del mio diritto, perdo la causa, anche se ho ragione. Questo principio vale in via generale, anche nelle controversie che necessitano di integrazioni tecniche: nel senso che la c.t.u. è un mezzo per valutare in modo specialistico gli elementi probatori raccolti e regolarmente sottoposti al giudice, non per scaricare su un consulente l’onere e magari la fatica di andare in giro a raccogliere le prove dei fatti. La c.t.u. dunque può essere disposta anche dal giudice d’ufficio, cioè di sua iniziativa e senza che nessuna delle parti gliel’abbia chiesta: perché serve per fornire al giudice elementi di giudizio, non per surrogare prove che non ci sono (e che il giudice, nel nostro sistema, non potrebbe mettersi a cercare da solo, con ciò surrogando l’inerzia di una parte).
4) La consulenza non è un oracolo.
È vero che il Ctu fornisce giudizi tecnici sulla base di nozioni specialistiche. Ma il suo giudizio deve essere motivato: e motivato bene, perché deve mostrare il procedimento logico che porta al giudizio finale, che, ripeto, può essere condiviso dal giudice, ma solo se anch’egli se ne convinca. In pratica, non può esistere una perizia a scatola chiusa.
5) La consulenza deve essere svolta in contraddittorio.
Questo principio è fondamentale, e se non è rispettato rende inutilizzabile la consulenza. Come sapete, le parti nello svolgimento della perizia hanno diritto di farsi difendere da consulenti di parte. Il Ctu non può fare il suo lavoro clandestinamente, anche se magari farebbe prima: ma deve convocare e sentire effettivamente quello che hanno da dire i consulenti di parte, prima di rendere la sua perizia. Sono ancora esterrefatto per un fatto che capitò in una causa di cui mi occupavo: mi telefonò il consulente di parte, dicendomi che il Ctu aveva comunicato ai consulenti di parte che avrebbe fatto la sua relazione, da solo, e la avrebbe poi consegnata in copia ai Consulenti di parte, perché facessero le loro osservazioni, che lui avrebbe allegato alla perizia. In pratica, sarebbe come se il giudice dicesse agli avvocati: io faccio la sentenza, ma poi ve la faccio vedere, in modo che voi la possiate commentare. In realtà, la necessità del contraddittorio è una delle esplicazioni del diritto di difesa, che è uno dei principi costituzionali fondamentali, che va rispettato anche facendo la consulenza tecnica.

6) Il Ctu deve essere imparziale.
Il codice di procedura prevede (art. 36) che il Ctu può essere ricusato per i motivi indicati nell’art. 51. L’art. 51 è quello che disciplina i casi dell’astensione del giudice: astensione necessaria, e astensione facoltativa.
I casi di astensione necessaria sono cinque, e ricorrono se il giudice (e dunque anche il consulente):
1. – ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2. – se lui o la moglie sono parenti fino al quarto grado, o affiliati, o conviventi, o commensali abituali di una delle parti o dei loro avvocati;
3. – se lui stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei loro difensori;
4. – se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5. – se è tutore, curatore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se è inoltre amministratore o dirigente di un ente, un’associazione, di un comitato o di una società che ha interesse nella causa. L’astensione facoltativa ricorre quando, al di fuori dei casi che ho appena ricordato, sussistono altre gravi ragioni di convenienza, che suggeriscono l’opportunità per il giudice di astenersi.
Ebbene, per il Ctu la disciplina della ricusazione è ancora più rigida che per il giudice: giacché egli può essere ricusato in tutte le ipotesi di cui all’art. 51, e cioè sia nelle ipotesi di astensione necessaria, sia se sussistono gravi ragioni di convenienza (mentre in quest’ultimo caso il giudice può chiedere di astenersi, ma non può essere ricusato).

7) Il Ctu deve essere competente.
Anche se l’art. 63 del c.p.c., al primo comma, sostiene che il Ctu se è scelto tra gli iscritti ad un albo, è obbligato ad accettare l’incarico, lo stesso articolo aggiunge poi subito: “tranne che il giudice riconosca che sussiste un giusto motivo di astensione”.
Giusto motivo di astensione è certamente uno qualsiasi dei motivi che legittimerebbero la ricusazione. Ma giusto motivo, probabilmente più frequente, è quello di non essere competente nella materia di cui si tratta in causa. Se un consulente non si intende, da specialista e non da orecchiante, della materia nella quale è chiamato a dare un parere da esperto, non deve accettare l’incarico. Non c’è nulla di male a non essere tuttologi; c’è di male, e parecchio, a gabellarsi per esperti quando non lo si è. Anche perché, per gli iscritti agli albi professionali, la mancanza di competenza costituisce pure una violazione deontologica, che può e anzi deve essere perseguita dall’organo disciplinare.
8) Il Ctu è responsabile del suo operato.
La consulenza non è cosa da prendere alla leggera. Dice l’art. 64 del solito c.p.c. che al consulente si applicano le disposizioni del codice penale relative ai periti; ma che in più il Ctu che incorre in colpa grave nello svolgimento dell’incarico affidatogli è punito con l’arresto fino ad un anno, o con l’ammenda fino a venti milioni; e in ogni caso è tenuto al risarcimento del danno a favore delle parti.
9) Il consulente di parte è l’avvocato tecnico della parte.
Nello svolgimento della consulenza, abbiamo visto, si riproduce la meccanica del processo, in sintesi: al posto del giudice sta il Ctu, al posto degli avvocati ci sono i periti di parte. Dunque, il perito di parte è l’avvocato della parte nella consulenza: il suo ruolo è quello di sottolineare al Ctu le ragioni del cliente, in modo che il Ctu ne tenga conto. Il suo compito non è quello di scrivere delle belle memorie tecniche ad uso del giudice o degli avvocati, o peggio ancora del cliente: ma quello di convincere il Ctu della bontà delle sue tesi. Se ci riesce, ha svolto egregiamente il suo compito, anche se in ipotesi non ha scritto neppure una riga.
10) Il Ctu ha termini da rispettare.
All’udienza in cui il Ctu presta giuramento, il giudice gli assegna un termine entro il quale assolvere al proprio compito. Una proroga dovrebbe essere ammissibile solo nel caso in cui l’indagine presentasse oggettive e particolari difficoltà, tali da giustificare un extra di tempo. Nella pratica invece accade spesso che proroghe siano richieste pur in assenza di tali ragioni, e de plano concesse dai giudici. Di più: avviene talvolta che allo scadere del termine assegnato semplicemente la consulenza non venga depositata, senza che nemmeno la proroga venga richiesta. È evidente che il Ctu “ritardatario” rende un cattivo servizio alla giustizia, contribuendo ad appesantire i tempi del processo.

 

[articolo di Giuliano Arnoaldi Veli tratto dall'intervento al Convegno tenutosi a Bologna il 27.11.1999 “La consulenza tecnica d’ufficio in ambito civile: il ruolo del medico specialista in medicina legale e delle assicurazioni” ]